In epoca assai anteriore al sec. XI, alla foce del torrente Vicano, in riva destra dell’Arno, era sorto un monastero benedettino femminile denominato di S. Ilario in Alfano.
Già nel 1039 tale monastero era funzionante, perfettamente organizzato e dotato di numerosi beni tanto che l’Abbadessa del monastero, Donna Itta, con atto del 3 luglio 1039, donava a Giovanni Gualberto le terre e i beni da cui sarebbe iniziato lo sviluppo del monastero di Vallombrosa.
Successivamente il monastero fu chiamato di Sant’Ellero dal nome del santo confessore di S. Ilario (*1 ) , a cui furono dedicati sia la Chiesa del Monastero che il Castello medievale.
I fondatori di questo complesso sembra siano stati i Conti Guidi che in quelle terre avevano un loro feudo; a conferma di ciò vale il fatto che molte abbadesse del monastero appartenevano ai Conti Guidi.
Nell’xi sec. Il monastero aveva un patrimonio terriero vastissimo che si estendeva dalla riva destra dell’Arno fino alla cima del Monte Secchieta, nonché del Pratomagno comprendendo anche la foresta di Vallombrosa.
L’importanza del monastero era tale che Papi e Imperatori, fin dal sec. XI, lo presero , insieme a tutti i beni, sotto la loro protezione, ma anche la Repubblica Fiorentina si adoperò affinchè nessuno disturbasse la quiete e il silenzio del luogo.
La prima e più nota abbadessa é Donna Itta, presumibilmente della Casata dei Conti Guidi. Divenne famosa per la donazione fatta a Giovanni Gualberto, il 3 luglio 1039, della selva di Vallombrosa per costruirvi quello che diventerà il grande e famoso Monastero di Vallombrosa.

La donazione non fu libera da vincoli; infatti, l’Abbadessa Itta stabiliva l’obbligo per il monastero vallombrosano di alcuni tributi da offrire a Sant’Ilario e l’impossibilità per il nuovo Ordine di Vallombrosa di vendere o commutare i beni ricevuti.
Altre donazioni furono fatte in seguito dalle Abbadesse succedute a Donna Itta e furono riconosciute dal Papa Innocenzo II nel 1139.
Le elargizioni fatte dalle monache erano state tali che i Monaci Vallombrosani avrebbero dovuto essere riconoscenti in eterno. In realtà ciò non avvenne e, dopo la morte di Giovanni Gualberto, i Monaci misero gli occhi sul patrimonio di S. Ilario.
Di fronte al Monastero Vallombrosano che diventava sempre più influente e in seguito alla distruzione di Fiesole da parte di Firenze, le monache di S. Ilario ricorsero ai Pontefici per tutelare i propri diritti finchè la Santa Sede prese il monastero sotto la sua diretta protezione; ma anche l’Imperatore Enrico VI, con diploma imperiale del 1191, prendeva sotto la protezione regia il monastero di Sant’Ellero.
Tra alterne vicende durante le quali il monastero viene a trovarsi coinvolto nelle dispute tra il comune di Firenze e il Papato, si giunge al 1252 quando viene eletto Abate di Vallombrosa Tesauro Beccaria, appartenente a una nota famiglia ghibellina di Pavia, grande amico del Cardinale Ottaviano degli Ubaldini, protettore dell’Ordine Vallombrosano, ma grande nemico dei Fiorentini che lo consideravano un traditore, perché tramava contro la città. La sua origine ghibellina farà crescere l’avversione di Firenze contro Vallombrosa, avversione che sfocerà in seguito nella decapitazione di Tesauro Beccaria in piazza Apollinare.

Con l’avvento in Vallombrosa dell’Abate ghibellino, la sorte delle monache di Sant’Ellero era segnata. L’Abate, infatti, pensò che oramai sarebbe stato facile annettersi il monastero di Sant’Ellero, che si trovava in un luogo strategicamente rilevante non solo per Vallombrosa, ma anche per le terre del suo Cardinale protettore, Ottaviano degli Ubaldini. Il monastero, infatti, aveva il suo porticciolo alla confluenza del torrente Vicano con l’Arno in sponda destra e la sua posizione fortezza dominava praticamente l’accesso al Casentino attraverso il passo della Consuma.
L’occasione per la soppressione di S. Ilario e la relativa annessione a Vallombrosa fu data quasi certamente dalle stesse monache che, a causa delle tante controversie, avevano perduto il primitivo impeto spirituale; infatti, in tanti anni il Monastero era andato incontro a un periodo di decadenza non solo materiale ma anche, e soprattutto, spirituale.
L’annessione a Vallombrosa poteva dare un nuovo impulso al primitivo fervore religioso; portando questo a motivo della sua richiesta, l’Abate Tesauro chiese al nuovo Papa Alessandro IV di annettere d’ufficio ai beni di Vallombrosa il Monastero delle sue antiche benefattrici.

Il Papa da Napoli, il 28 dicembre 1254, dichiarava con una sua Bolla l’annessione del Monastero di S. Ilario con tutti i suoi beni al Monastero di Vallombrosa e stabiliva che in detto Monastero fosse posto un Abate per governarlo.
Fu questa una sorpresa per le monache ed esse non vollero sapere di andarsene né di cedere i loro beni né di ammettere un abate vallombrosano ad amministrarle; infatti, l’ordine ricevuto era un iniquo rovesciamento di tutta una situazione di diritti e consuetudini che erano state più volte rinnovate dalla stessa Santa Sede che ora ignorava l’antico patronato di Sant’Ellero su Vallombrosa.
Il Podestà e il Comune di Firenze, anziché aiutare il Papa a cacciare le monache e unire i due monasteri, dichiararono illegittima l’annessione di S. Ilario a Vallombrosa e multarono i Vallombrosani di una grossa somma di denaro.
Le disposizioni papali rimanevano lettera morta, le monache continuavano a rimanere nel loro monastero e l’unione dei beni di S. Ilario e Vallombrosa non veniva realizzata nonostante il Papa si fosse rivolto a chiedere aiuto a vari vescovi e abati della Toscana e non.

Lo scontro tra il Papa, le monache di S. Ilario e Firenze poteva ormai essere risolto solo con la forza.
Nella Pasqua del 1266 i Guelfi, protetti dai Francesi di Carlo I D’Angiò, rientrarono a Firenze ed ebbe inizio una lunga e sanguinosa vendetta.
L’anno successivo, 1267, quattromila Ghibellini furono costretti a lasciare Firenze; circa ottocento di loro si rifugiarono, con il consenso delle monache tra le mura fortificate del Monastero di S. Ilario, protetti alle spalle dall’appoggio dei Conti Guidi e degli Ubaldini con il Cardinale Ottaviano. Carlo I D’Angiò mandò la cavalleria francese ed insieme ad altre soldatesche dei luoghi vicini assediarono gli occupanti di S. Ilario e fu una carneficina.
Tra i vinti circa quattrocento furono squartati vivi; gli altri catturati e le donne, fossero monache, serve o imparentate con i rifugiati ghibellini, caddero vittime dei vincitori. Un certo Geri di Filippo da Volognano fu trascinato a Firenze e lasciato morire di stenti in un anfratto della Torre del Palazzo del Popolo ( IL Bargelllo ) che da allora  fu chiamata “LA Volognana”.

Lo scempio compiuto dalle truppe francesi fu di tale crudeltà che sei mesi dopo il mercante-poeta genovese, Calega Panzano, scrisse un componimento in strofe contro Re Carlo in cui affermava di avere trovato maggiore pietà presso i Saraceni, quando ne fu imprigionato, che in S. Ilario presso i cristianissimi francesi che squartarono vecchi, giovani e uccisero bambini sotto gli occhi delle madri e delle monache sopravvissute.
Il Monastero di S. Ellero, insieme al Castello, fu raso al suolo.
Il 31 gennaio 1268 l’Abbadessa Maria, insieme alle quattro sorelle, sopravvissute, firmava una convenzione fra il Monastero di S: Ilario e quello di S: Maria a Vallombrosa guidato dall’Abate Plebano, con la quale finalmente accettavano la vecchia prescrizione di Papa Alessandro IV, cedendo a Vallombrosa il monastero, la chiesa, i privilegi, le immunità e tutti gli altri diritti e beni suoi affinchè in perpetuo fossero soggetti alla sua amministrazione.
Con questo Atto le Monache sancivano la loro sconfitta e, insieme ai loro beni, cedevano anche la loro autonomia di regola ecclesiastica, accettando di dipendere materialmente e spiritualmente dall’Abate di Vallombrosa che si impegnava a concedere loro gli alimenti e i capi di vestiario per sopravvivere.

Così l’Abbazia di Vallombrosa concludeva, dopo duecentotrenta anni, la parabola che la vedeva passare da beneficiata a benefattrice, anche se in possesso di un cumulo di rovine.
Da parte loro le Monache avevano perso la guerra, ma probabilmente una battaglia la vinsero; sembra, infatti, che non si siano mai allontanate dalle loro mura bruciate e d’altra parte i nuovi Signori si erano impegnati a non rimuoverle se non per loro esclusiva volontà.
Alcune fonti dicono che le Monache abbandonarono definitivamente il Monastero nel 1298 passando a quello di S. Pancrazio in Firenze.

Nota 1

E’ assai probabile che S. Ellero e S. Ilario fossero la stessa persona.
Il patrono del Monastero, quasi con certezza, non è Ilario di Poitiers, ma Ilaro o Ilario di Galeata, vissuto in questo paesino in provincia di Forlì-Cesena. Il suo nome latino era Hilarius, poi italianizzato in Ilaro e poi Ellero e nacque, così come riferisce l’Enciclopedia dei Santi, addirittura nella Tuscia nel 476.
Si racconta che a soli dodici anni lasciò la famiglia per darsi alla vita solitaria.

Varcò l’Appennino e scese lungo la valle del Bidente, fermandosi su un monte dove costruì una Cappella per pregare e una spelonca per alloggiare. A circa venti anni passò dalla vita eremitica a quella cenobitica. Pare che questo passaggio sia stato motivato dall’incontro con un certo Olibrio, nobile ravennate, pagano e posseduto dal demonio, che fu liberato proprio da Ilario. Come ricompensa, Olibrio si fece battezzare con tutta la sua famiglia e, alla morte della moglie, insieme ai suoi due figli, divenne compagno di vita monastica di Ilario, donandogli anche un terreno da lavorare dove nel 496 nacque il primo nucleo monastico di Galeata.
Raccolse vari seguaci e fissò una regola di vita basata sulla preghiera comune, sul lavoro dei campi e sulla pratica della carità.
Oltre a tanti miracoli fatti, si racconta come Teodorico, re degli Ostrogoti, dimorante a Ravenna, sebbene non gradisse la vicinanza dei Monaci, in seguito si mostrò così benevolo verso di loro fino al punto di donare beni e terreni.

Ellero o Ilario morì a 82 anni, il 15 maggio del 558; questa data coincide con le celebrazioni in onore del Santo fate dalle Monache del Monastero di Sant’Ellero o S. Ilario. Non si conosce la data della sua proclamazione a Santo.

Cenni Storici

I Cenni storici sono stati tratti dal libro Il Plebato di Pitiana
 Storia del territorio dalle origini al XVIII secolo
Autore  Gianfranco Stanzani

Il gruppo della Divina Misericordia, non a caso, perché sappiamo che nella pedagogia di Dio niente avviene a caso, nasce proprio in un luogo, Sant’Ellero, che circa otto secoli fa, fu teatro di una tremenda carneficina.

Matteo 9, 12-13


"Non sono venuto per i sani ma per i malati. Andate dunque ed imparate che significhi: Misericordia voglio e non il sacrificio"